6 luglio 2017

Self Mirroring Therapy. L’immagine di sé come strumento di cambiamento

Una donna sta guardando attentamente il suo viso allo specchio. Segue la linea delle rughe d’espressione sulla fronte, sempre aggrottata, poi scende ad osservare la piega della bocca, stretta e incurvata in basso verso gli angoli. La labbra tremano impercettibilmente. E gli occhi? Cosa vede negli occhi? Lo sguardo è fisso, quasi spaventato, con una tendenza all’evitamento, ad allontanarsi dall’immagine che le rimanda il volto e a concentrarsi su particolari insignificanti, come un brufoletto sul naso o la scoperta di un capello bianco sulla tempia. La donna sta leggendo amarezza e ansia sul suo viso, forse ancora di più: uno stato ansioso permanente. In ogni caso, quello è il volto di una persona sofferente.  

Il riconoscimento delle proprie emozioni mediante la lettura del viso è una pratica che alcuni fanno abitualmente e quasi automaticamente, come se stessero osservando se stessi dall’esterno - tale capacità facilita la riflessione sui propri stati mentali e, in senso più ampio, sul proprio modo di funzionare -; allo stesso modo leggono le emozioni sul volto di coloro che incontrano e frequentano. 

È stato ipotizzato che alla base di tale competenza ci sia il sistema dei neuroni specchio e il meccanismo definito da Vittorio Gallese «simulazione incarnata»: quando osserviamo in un altro individuo un’azione o un’espressione emotiva, si attivano in noi i circuiti motori, viscero-motori ed affettivi che sono coinvolti quando noi stessi sperimentiamo quell’azione o espressione emotiva. D’altro canto, diversi studi di neuroimaging dimostrano come durante l’osservazione del proprio volto si ottenga la massima attivazione del sistema dei neuroni specchio, poiché si viene a determinare una totale corrispondenza tra il volto dell’osservatore e dell’osservato. 

Su tali presupposti neurofisiologici si fonda una innovativa metodica psicoterapeutica, la Self Mirroring Therapy (SMT), che tende a promuovere la consapevolezza delle emozioni e dei pensieri del paziente soprattutto nei casi in cui tale capacità sia scarsa o deficitaria e rappresenti un ostacolo al trattamento. La difficoltà a riconoscere le proprie emozioni e i deficit nelle abilità metacognitive sono caratteristiche presenti trasversalmente in soggetti affetti da svariate patologie, dai disturbi alimentari a quelli di personalità, ai disturbi d’ansia, ecc. 

La SMT, avvalendosi di una procedura di videoregistrazione del paziente in alcuni momenti della terapia (mediante strumenti tecnologici quali webcam, computer, cellulare,…) e successiva visione del video, permette al paziente di orientare verso se stesso quei meccanismi di risonanza empatica, mediati dal sistema dei neuroni specchio, che vengono utilizzati per comprendere in modo automatico e intuitivo gli stati emotivi degli altri. 

La SMT può venire integrata all’interno di modelli di psicoterapia già esistenti e convalidati, ad esempio, nel protocollo CBT (psicoterapia cognitiva comportamentale) qualora i pazienti fatichino ad instaurare un rapporto di fiducia con il terapeuta e sia compromesso il rispecchiamento delle emozioni del paziente da parte del terapeuta (un’interessante applicazione è descritta nell’articolo L’integrazione della Self Mirroring Therapy nel protocollo CBT per il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo: un caso clinico, a cura di Piergiuseppe Vinai, Maurizio Speciale, Michela Alibrandi, pubblicato su Quaderni di Psicoterapia Cognitiva, FrancoAngeli, fascicolo 38, 2016). 

Osservando le proprie espressioni emotive, il paziente può entrare più facilmente in contatto con la propria condizione di disagio e sofferenza, diventare consapevole delle proprie emozioni, dei propri pensieri, convinzioni e aspettative: condizione indispensabile per attivare percorsi di accettazione, autocompassione (sentimento ben diverso dall’autocommiserazione) e perdono verso se stesso, contribuendo alla creazione di un’idea di sé più positiva e funzionale. Talora è proprio la mancata accettazione di sé che sostiene una patologia o un disturbo ( ad esempio, il disturbo ossessivo) ostacolando i processi di resilienza. In ultima analisi, il paziente è stimolato a prendersi cura di se stesso ed a lavorare sul proprio cambiamento. In fondo, questo è il core di ogni psicoterapia.

Rosalba Miceli, LaStampa.it
Pubblicato il 24/06/2017

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